Questa insostenibile leggerezza del digitale
In chiusura di
quella meravigliosa ed unica Mostra al Salone del Fumetto di Pordenone, “IL
SEGNO DI MAGNUS - Da Alan Ford a Tex”, in una intervista a Davide Toffolo, che
ha avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli allievo, ribadiva un suo
ricordo reiterato anche in altre testimonianze. Parlando delle tavole originali
di un Fumetto, El Tofo racconta che Magnus le definiva “semilavorati”. Una
frase meno nota del Maestro bolognese che ci abituato piuttosto ad aforismi che
parlano di squadra e compasso e che è noto per la sua maniacale dedizione ai
particolari per non “tradire” i suoi lettori.
Si dice anche
che Norman Rockwell, dovendo destinare alla stampa le sue illustrazioni, veri
capolavori, quadri ad olio, spesso di ragguardevoli dimensioni, considerasse il
vero prodotto finito soltanto i negativi delle fotografie dei suoi dipinti, perché
era quello che gli veniva pagato dai committenti per poter trasferire le sue
illustrazioni su carta stampata. Addirittura qualcuno se li sarebbe visti
regalare come ringraziamento per aver messo a disposizione i propri locali per
realizzare l’opera dal vivo.
Per gli
appassionati di Fumetti e per, forse, anche molti fumettisti (ed io sono tra
questi), questo capovolgimento di percezione può sembrare addirittura
destabilizzante.
Artisti di
notevole talento, che hanno prodotto opere indimenticabili, le consideravano,
come diceva Roberto Raviola (il vero nome di Magnus) dei “semilavorati” perché,
in effetti, il loro obiettivo finale era qualcosa prodotto in serie e,
soprattutto, era quel prodotto “di serie” che effettivamente il committente
pagava.
Dunque stando a questo capovolgimento di fronte, che valore reale ha la tavola originale?
Ovviamente questa domanda è una provocazione.
Chiunque sia
un nerd navigato come chi scrive sa che il valore inestimabile della tavola
originale da cui la pagina ha preso forma risiede nel suo essere “unica” e scaturita
direttamente dall’estro del suo autore… dal suo cuore e dalle sue mani, per
meglio dire.
Eppure…
Ultimamente, da boomer quale sono (seppur formalmente appartenente alla generazione X, ma pur sempre boomer nella definizione de “Le Coliche”), cioè affetto da una “malattia” che ha molto a che fare con la nostalgia, mi sono approcciato (o dovrei forse dire “piegato”) all’inchiostrazione digitale dei miei ultimi fumetti per esigenze produttive, vale a dire per garantire una certa frequenza di pubblicazione.
Il fatto di
limitare alla sola inchiostrazione e rifinitura delle tavole l’uso del digitale
tradisce il mio senso di colpa da “boomer”. Potrei fare tutto su supporto
vettoriale, ma ancora non riesco ad abbandonare quel che resta del lavoro artigianale.
Alcuni
fumettisti, più o meno miei coetanei (diciamo d’età maggiore uguale di…) si
ostinano eroici a fare tutto “in analogico”, come orrendamente dicono i più
giovani, e, manco a dirlo, con risultati pregevoli, ma sicuramente più
impegnativi.
Altri, come
me, lavorano, seppur parzialmente, in digitale e, sempre tra i più o meno coetanei di cui sopra, un latente senso
di colpa si avverte nella dedizione con cui disegnano con materiali molto
tradizionali in Fiera per la gioia di
chi guarda.
A nulla valgono tentativi di definire in qualche modo il
senso di un “originale” che sia prodotto digitalmente (attenzione, qui NON si
parla di AI, ma di disegno utilizzando strumenti per la produzione di sorgenti
digitali vettoriali, come Photoshop - NON i suoi moduli AI -, Clip Studio
Paint, GIMP ecc.).
Ci hanno
provato con gli NFT, ma non esiste un metodo che impedisca che l’opera così
firmata non possa essere copiata o ristampata, dunque… non sarà mai unica.
Allora come conciliare la velocità e gli indubbi vantaggi di realizzazione con sorgenti digitali con l’esigenza di poter produrre una “matrice” originale del prodotto seriale che, in definitiva, resta il fine ultimo di un prodotto fumettistico (ma anche di una illustrazione)?
Basta il
capovolgimento del punto di vista di Magnus e Rockwell a sciogliere le nostre
riserve?