giovedì 11 dicembre 2025

Questa insostenibile leggerezza del digitale

Questa insostenibile leggerezza del digitale

In chiusura di quella meravigliosa ed unica Mostra al Salone del Fumetto di Pordenone, “IL SEGNO DI MAGNUS - Da Alan Ford a Tex”, in una intervista a Davide Toffolo, che ha avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli allievo, ribadiva un suo ricordo reiterato anche in altre testimonianze. Parlando delle tavole originali di un Fumetto, El Tofo racconta che Magnus le definiva “semilavorati”. Una frase meno nota del Maestro bolognese che ci abituato piuttosto ad aforismi che parlano di squadra e compasso e che è noto per la sua maniacale dedizione ai particolari per non “tradire” i suoi lettori.

Si dice anche che Norman Rockwell, dovendo destinare alla stampa le sue illustrazioni, veri capolavori, quadri ad olio, spesso di ragguardevoli dimensioni, considerasse il vero prodotto finito soltanto i negativi delle fotografie dei suoi dipinti, perché era quello che gli veniva pagato dai committenti per poter trasferire le sue illustrazioni su carta stampata. Addirittura qualcuno se li sarebbe visti regalare come ringraziamento per aver messo a disposizione i propri locali per realizzare l’opera dal vivo.

Per gli appassionati di Fumetti e per, forse, anche molti fumettisti (ed io sono tra questi), questo capovolgimento di percezione può sembrare addirittura destabilizzante.

Artisti di notevole talento, che hanno prodotto opere indimenticabili, le consideravano, come diceva Roberto Raviola (il vero nome di Magnus) dei “semilavorati” perché, in effetti, il loro obiettivo finale era qualcosa prodotto in serie e, soprattutto, era quel prodotto “di serie” che effettivamente il committente pagava.

Dunque stando a questo capovolgimento di fronte, che valore reale ha la tavola originale?

Ovviamente questa domanda è una provocazione.

Chiunque sia un nerd navigato come chi scrive sa che il valore inestimabile della tavola originale da cui la pagina ha preso forma risiede nel suo essere “unica” e scaturita direttamente dall’estro del suo autore… dal suo cuore e dalle sue mani, per meglio dire.

Eppure…

Ultimamente, da boomer quale sono (seppur formalmente appartenente alla generazione X, ma pur sempre boomer nella definizione de “Le Coliche”), cioè affetto da una “malattia” che ha molto a che fare con la nostalgia, mi sono approcciato (o dovrei forse dire “piegato”) all’inchiostrazione digitale dei miei ultimi fumetti per esigenze produttive, vale a dire per garantire una certa frequenza di pubblicazione. 

Il fatto di limitare alla sola inchiostrazione e rifinitura delle tavole l’uso del digitale tradisce il mio senso di colpa da “boomer”. Potrei fare tutto su supporto vettoriale, ma ancora non riesco ad abbandonare quel che resta del lavoro artigianale.

Alcuni fumettisti, più o meno miei coetanei (diciamo d’età maggiore uguale di…) si ostinano eroici a fare tutto “in analogico”, come orrendamente dicono i più giovani, e, manco a dirlo, con risultati pregevoli, ma sicuramente più impegnativi.

Altri, come me, lavorano, seppur parzialmente, in digitale e, sempre tra i più o meno coetanei di cui sopra, un latente senso di colpa si avverte nella dedizione con cui disegnano con materiali molto tradizionali in Fiera per la gioia di chi guarda.

A nulla valgono  tentativi di definire in qualche modo il senso di un “originale” che sia prodotto digitalmente (attenzione, qui NON si parla di AI, ma di disegno utilizzando strumenti per la produzione di sorgenti digitali vettoriali, come Photoshop - NON i suoi moduli AI -, Clip Studio Paint, GIMP ecc.).

Ci hanno provato con gli NFT, ma non esiste un metodo che impedisca che l’opera così firmata non possa essere copiata o ristampata, dunque… non sarà mai unica.

Allora come conciliare la velocità e gli indubbi vantaggi di realizzazione con sorgenti digitali con l’esigenza di poter produrre una “matrice” originale del prodotto seriale che, in definitiva, resta il fine ultimo di un prodotto fumettistico (ma anche di una illustrazione)?

Basta il capovolgimento del punto di vista di Magnus e Rockwell a sciogliere le nostre riserve?

Per quanto mi riguarda, temo che per me la soluzione sia soltanto quella di usare sorgenti digitali per "produrre" e il disegno tradizionale per diletto, ma anche per amor proprio e, naturalmente, chino sul tavolo in Fiera o nell'intimità del mio angusto tavolino in casa.

giovedì 28 marzo 2024

 

La nuova frontiera dell'alimentazione sostenibile, salutare ed etica: La dieta ariatariana

Negli ultimi anni filosofi, sociologi, medici, nutrizionisti, terrapiattisti, piastrellisti e mattonatori si sono interrogati per trovare una soluzione all'annoso problema della conciliazione tra una alimentazione sana e completa ed al contempo sostenibile ed eticamente accettabile. 

Se è vero che nel corso degli ultimi due decenni è andata aumentando la sensibilità rispetto a crudeli ed amorali metodi di allevamento intensivo, che portano con sé conseguenze nefaste anche sulla qualità e salubrità del cibo che ne viene prodotto, ultimamente si fa strada l'idea che non solo dal ricorso a risorse derivanti dall'eccidio indiscriminato di animali e dal loro sfruttamento deriva la nostra colpa, ma si estende anche verso tutte quelle forme di vita che animali non sono. 

Così ecco comparire i primi afflati di empatia verso quel cespo di lattuga violentemente strappato all'affetto dei suoi cari e di quel tubero stroncato in giovane età che aveva già programmato una vita piena di soddisfazioni e prole con quella giovane patata della porta accanto.

Da qui la geniale intuizione! Nasce, finalmente, la dieta ariatariana

Siamo tutti consapevoli che solo un'esigua quantità di ossigeno è necessaria alla nostra respirazione ad ogni nostra inspirazione? Che ne è della restante aria, composta solo in piccola parte di ossigeno, e pregna di altri elementi ricchi di varietà, gusto ed efficacia, come azoto, argon e anidride carbonica? 

Ecco dunque la soluzione! Elementi che ci circondano in quantità spropositata che potrebbero finalmente sopperire alla nostra necessità di nutrimento senza contraccolpi etici, in quanto privi di vita.

Mai più lo sterminio di innocenti broccoli, lo strazio di fagioli, l'eccidio di piselli (quelli verdi). 

La dieta ariatariana è la risposta a tutti i nostri dubbi morali, al nostro conflitto interno, al dramma di dover scegliere ogni volta che ci nutriamo se perpetrare la nostra esistenza ponendo fine alla vita di un germoglio!

Eppure era lì, davanti ai nostri occhi, e, come spesso accade, non ce ne eravamo mai accorti.

"Cosa ne sarà della cultura eno-gastronomica, dunque?" direte voi miei piccoli amici (Collodi perdonali, perché non sanno quello che dicono).

Pensate a quante nuove leccornie potremo inventare, quante vincenti novità all'orizzonte dell'industria culinaria e dello Show Business televisivo di Masterchef!

Il "cuoppo di aria fritta", la "spuma di aerosol al profumo di ozono", "aerofiterol con panna di argon", il tutto innaffiato da un buon calice di bollicine (e basta)!

Ulteriori studi hanno dimostrato che le poderose flautolenze che deriverebbero da questo nuovo ed innovativo regime alimentare possano essere inodori, non inquinanti e depurative per l'intestino.

Senza indugi, si proceda! La dieta ariatariana è il futuro!

mercoledì 13 marzo 2024


Il "caso Banksy" ed il dilemma tra la coscienza artistica, l'anonimato ed il diritto

Oggi vorrei condividere qualche mia riflessione scaturita dalla lettura di questo articolo sul "caso Banksy" e, più in generale, sul rischio che comporta per questo artista la scelta dell'anonimato, che ha aperto un capitolo tutto nuovo nel dibattito sul diritto d'autore e sul ruolo del messaggio originale di un'opera.

Per prima cosa mi ha colpito realizzare, una volta di più, come probabilmente le ragioni del diritto e quelle della ragione (o della morale, se si può ancora definire oggi una morale comune) non vadano decisamente a braccetto.

Da una parte c'è una dichiarata intenzione, nelle scelte di Banksy e, in generale, nel movimento originario della Street Art, di contrasto alle convenzioni e alla concezione commerciale dell'arte.

Come spesso rimarcato anche da altri street artist, come ad esempio Diavù, all'origine della street art c'è la condivisione di opere principalmente con tutti, con la finalità principale di veicolare un messaggio, spesso origine anche di contrasto con il "Sistema", per veicolare il quale gli artisti stessi si espongono a rischi, dal momento che le loro opere sono realizzate con metodi ai margini della legalità, visto che vengono eseguite su supporti pubblici o privati senza il consenso dello stato (per ciò che è di demanio pubblico) o del proprietario (per ciò che è proprietà privata).

Questo processo avviene nella consapevolezza che l'opera è realizzata per veicolare un messaggio a più gente possibile in modo immediato ed inaspettato e non ha finalità di durata e conservazione. 

Per sua natura la Street Art nasce "effimera", perché in un "murale" c'è insito il concetto che l'opera stessa potrà in qualsiasi momento essere cancellata, distrutta, vandalizzata o anche nascosta dalla sovrapposizione di una altro murale diverso, magari realizzato da un altro street artist.

La natura stessa di un atto artistico di per sé formalmente illegale porta con sé intrinsecamente la possibilità che l'artista rimanga anonimo. Che sia riconoscibile con un alias che ne celi identità. Questo è proprio il caso di Banksy che, tra l'altro, al suo anonimato deve anche gran parte della sua popolarità.

Benché fin dai tempi di "Love is in the Bin" sia chiara la piena adesione al modello di obsolescenza urbana della street art nell'idea dell'autore, le sue opere sono comunque diventate oggetto di speculazione economica suo malgrado, tanto da spingerlo a creare una società che lo rappresenti per registrare un "marchio". Il ché per uno che ha sempre criticato il sistema e rinnegato il "copyright" suona come un controsenso, ma, paradossalmente, deve essere sembrata l'unica soluzione per arginare la speculazione economica sulle sue opere.

Cosa che, ormai si è capito, costringe l'artista ad operare una scelta. 

Rinunciare al proprio anonimato oppure rassegnarsi al fatto di non poter tutelare le proprie opere dall'utilizzo commerciale da parte di soggetti terzi che ne entrino in possesso. Questo perché, per la legge, se resti anonimo non puoi rivendicare la paternità di un'opera e, quindi, non puoi neanche impedire che chi ne entri in possesso, a prescindere dal metodo, possa sfruttarla commercialmente.

Insomma, anche se è certa la volontà dell'artista, non si è tenuti a rispettarla perché l'artista non può rivendicarla in forma anonima. Il diritto contro la ragione.

Mi chiedo, senza avere una risposta, se in tempi in cui la titolarità effettiva di opere letterarie e figurative sono messe in pericolo dal crescente utilizzo di AI generative, questo non sia un ulteriore passo verso un mondo che tende ad affermare sempre di più le ragioni di chi sfrutta senza merito l'opera altrui rispetto a quelle del suo effettivo autore e se le ragioni interpretative del messaggio di un'opera artistica da parte dei suoi fruitori non rischino in qualche misura di stravolgere il messaggio stesso dell'opera snaturandolo del tutto.

Spero che la mia sensazione sia sbagliata.

A presto.